Il Piede Piatto nell'Adulto

Introduzione

Il Piede Piatto o “Sindrome Pronatoria” è una deformità del piede caratterizzata da una riduzione di altezza o assenza dell’arco plantare mediale associato ad un Valgismo del Calcagno, ovvero un’ eccessiva deviazione verso l’esterno. 

Durante il passo, il piede si comporta sia come una “Leva Morbida” (come un piede piatto) per ammortizzare al momento in fase di appoggio il carico, sia come una “Leva rigida” (come un Piede Cavo) per dare maggiore forza propulsiva in fase di Spinta. Il peso del corpo viene cosí distribuito tra la parte anteriore (avampiede), la parte posteriore (retropiede) e la parte centrale laterale.

Nel Piede Piatto, invece, si assiste ad un crollo dell’arco plantare mediale o volta longitudinale mediale, con conseguente alterazione della distribuzione del carico che verte completamente nella parte interna.

Ciò implica uno stato di Pronazione perenne durante tutte le fasi del passo, che a lungo andare comporta alterazioni degenerative a carico dei tessuti molli e delle articolazioni. 

Quali sono le cause?

Alla nascita tutti noi abbiamo i piedi piatti o pronati, in quanto, un maggiore appoggio della pianta del piede fornisce maggiore stabilità durante i primi passi del neonato.
Durante gli anni successivi, il piede tende a modificarsi fino a raggiungere un corretto allineamento all’età di 8 anni. Nei casi in cui non avvenga, il piede rimane piatto o pronato.

La componente genetica gioca sicuramente un ruolo fondamentale, tanto è vero che la presenza di familiari con la stessa deformità è molto frequente, ma non ne rappresenta l’unica causa.

L’ iperlassità legamentosa aumenta il rischio di sviluppare il piede piatto.

La disfunzione tendine tibiale posteriore in seguito a fenomeni degenerativi fino anche alla sua rottura, rappresenta la causa principale nell’Adulto. In assenza dell’azione di questo tendine, il calcagno tende a deviare verso l’esterno e l’arcata plantare si riduce. 

la Presentazione Clinica

La sindrome pronatoria non è sempre sinomimo di patologia e può non essere un limite per l’attività fisica. Per esempio il pluricampione dell’atletica Usain Bolt ha un piede piatto.

Quando i meccanismi di compenso del piede vengono meno, il piede pronato diventa sintomatico e può essere considerato come patologico.

Il Dolore può essere continuo o intermittente, peggiorato da lunghe camminate o attività sportive, attività che comportano stare in piedi a lungo, utilizzo di scarpe basse.

Tipicamente la sintomatologia dolorosa si localizza a livello mediale in corrispondenza dell’inserzione del tendine tibiale posteriore e lungo il suo decorso fino al polpaccio in alcuni casi. In alcuni casi può essere determinato da una prominenza ossea in conflitto con la calzatura, conosciuta come “Scafoide accessorio”.

Nelle deformità severe, è tipicamente presente un dolore laterale a livello dell’articolazione sottoastragalica che viene peggiorato da lunghe camminate o terreni irregolari. 

La Diagnosi

La visita specialistica con esame obbiettivo e l’anamnesi (la storia clinica del paziente) sono sufficienti per fare diagnosi.
Il piede deve essere valutato in carico sia durante la camminata che in stazione eretta, e sul lettino per eseguire test specifici per esaminare il bilanciamento muscolo-tendineo.

Il piede piatto viene cosí suddiviso in due tipologie:
Flessibile (correggibile manualmente)
Rigido (non correggibile)

La radiografia in carico del piede e della caviglia rappresenta l’esame principale che permette di valutare la morfologia, calcolare i parametri radiografici ed eventuale artrosi a carico delle articolazioni sottoastragalica, astragaloscafoidea, nonché della caviglia.

La Tomografia computerizzata (TC) viene richiesta in casi limitati e selezionati per sospetto radiologico di Sinostosi (ponte osseo che può essere presente tra astragalo e calcagno o scafoide e calcagno) e per valutare la qualità ossea (“Bone Stock”).

La Risonanza Magnetica (RMN) è un esame di secondo livello, richiesta in casi selezionati per valutare lo stato del tendine tibiale posteriore, soprattutto in soggetti giovani e sportivi.

Sia la TC che la RM, forniscono minori informazioni rispetto alla Radiografia in carico in quanto vengono eseguite con il soggetto sdraiato. 

Il Trattamento chirurgico

Talvolta il plantare non determina il beneficio sperato sul dolore e stabilità soprattutto in caso di Piede Piatto Rigido.
A seconda che la deformità sia Flessibile o Rigide si possono scegliere diverse opzioni chirurgiche.

Nei Piedi Piatti Flessibili, possono essere eseguiti interventi meno invasivi che consistono nell’eseguire Osteotomie e Trasposizioni Tendinee.
Le Osteotomie (eseguite a livello del Calcagno e del Primo Cuneiforme) hanno lo scopo di correggere la deformità, ottenendo un migliore allineamento del retropiede (quindi del Calcagno) e ristabilire una arco plantare nella norma.
Le Trasposizione tendinee hanno lo scopo di bilanciare lo squilibrio muscolo-tendineo, andando a sostituire un tendine non piú funzionante (in questo caso il tendine tibiale posteriore) con uno sano (il tendine flessore lungo delle dita).

In caso di Piedi Rigidi con evidente alterazioni artrosiche a carico di una o più articolazioni, l’Artrodesi (la fusione di una o più articolazioni) rimane l’unica opzione chirurgica perseguibile per riportare il piede in asse.

Nei casi più severi con interessamento anche della Caviglia, deve essere preso in considerazione l’esecuzione di una Duplice Artrodesi associata preferibilmente ad una Protesi di Caviglia oppure Artrodesi.

Il Trattamento conservativo

Il Trattamento conservativo viene riservato per Piede Piatti Flessibili e poco sintomatici.

L’uso di Plantari su misura permette di trovare un compenso dando maggiore stabilità ma non corregge la deformità. Per questo motivo risulta poco utile in caso di Piede Piatto Rigido.

Il dolore puó essere ridotto e controllato associando al plantare terapie anti-infiammatorie e terapie fisiche, come per esempio la TecarTerapia.

Il percorso post operatorio

PER OSTEOTOMIE E TRANSFER TENDINEI

Il decorso post operatorio prevede un’immobilizzazione per 4 settimane senza carico con un stivaletto gessato.

Rimosso il gesso, il paziente comincerà a caricare gradualmente con il tutore posizionato a 90° e potrà cominciare la rieducazione, iniziando dall’idrokinesiterapia (camminare nell’acqua).

È consigliabile eseguire un ciclo di Magnetoterapia a domicilio per favorire la riduzione del gonfiore e la consolidazione dell’osso.

Dopo 8 settimane il paziente potrà tornare a guidare, mentre per la ripresa dell’attività sportiva il tempo medio è di 4-5 mesi.


PER ARTRODESI

I tempi di recupero sono in genere più lunghi: l’immobilizzazione con stivaletto gessato senza carico ha una durata di 5 settimane a cui segue 3 settimane di tutore con il quale il paziente può gradualmente appoggiare il piede mentre il carico completo è dato a 8 settimane.

Idrokinesiterapia e un ciclo di Magnetoterapia sono consigliate per ottenere un recupero più rapido e favorire la consolidazione dell’artrodesi.

In genere il paziente riporta soddisfazione e ripresa della normale attività quotidiana dopo i 6 mesi, con differenza tra soggetto e soggetto legate all’età, deformità di partenza e patologie associate (per es. osteoporosi). 

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